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Piede Piatto
Il piede piatto (pes planus) è un’alterazione di tipo morfologico del piede caratterizzata da valgismo del retropiede e da una riduzione della cosiddetta volta plantare.
Alla nascita tutti hanno i piedi piatti; nella prima infanzia infatti il piede è costituito in prevalenza da grasso sottocutaneo, i muscoli sono deboli, i legamenti sono ancora lassi e si ha una fisiologica deviazione del calcagno verso l’esterno. Trascorsi pochi anni (mediamente 5 o 6), si assiste a un progressivo assetto del retropiede, che si sposta verso l’interno, e a un progressivo sviluppo della volta plantare.
Il piede piatto, nei primi anni dell’infanzia, fa sì che il bambino acquisisca maggiore propriocettività dal momento che la superficie d’appoggio del piede risulta aumentata (ricordiamo brevemente che la propriocettività è la capacità di elaborare le informazioni di retroazione dei movimenti propri dell’organismo; tale capacità è fondamentale per un corretto funzionamento dell’apparato locomotorio).
Quando un bambino inizia a deambulare il suo valgismo è di circa 12-15 gradi per poi assestarsi sui 5-7 gradi quando avrà raggiunto l’età di 5 o 6 anni. In diversi casi però il piede piatto permane anche trascorsi i primi anni di vita e il problema permarrà anche durante la vita da adulti; in linea generale si è portati a ritenere che il piede piatto sia sostanzialmente dovuto a una predisposizione di tipo genetico; non sempre però il piede piatto può essere attribuito a familiarità; è interessante il risultato di alcuni studi che hanno messo in evidenza che il far indossare le calzature ai bambini in modo eccessivamente precoce può essere causa di un ridotto o mancato sviluppo della volta plantare con tutto ciò che ne consegue.
Cause
Dal punto di vista eziologico (ovvero delle cause) esistono tre grandi categorie di piede piatto:
- da alterazioni ossee
- da alterazioni muscolo-legamentose
- da alterazioni neuromuscolari.
Rientrano nella prima categoria il piede piatto da astragalo verticale congenito, il piede piatto da alterazione dello scafoide, il piede piatto da sinostosi ossea e il piede piatto post-traumatico.
Fanno parte della seconda categoria il piede piatto lasso infantile, il piede piatto da patologie endocrine, il piede piatto da artriti reumatiche e il piede piatto da patologie sistemiche.
La terza categoria comprende il piede piatto da miopatie, il piede piatto da paralisi flaccida, il piede piatto da paralisi spastica e il piede piatto da retrazioni dell’achilleo.
La gravità della condizione viene suddivisa in tre stadi:
- I stadio: l’arco longitudinale risulta ridotto, ma è ancora presente. La funzionalità del piede è sostanzialmente normale, in particolar modo se esso non è sottoposto ad alcun carico.
- II stadio: l’arco longitudinale non è più visibile. Si inizia ad assistere alla comparsa di sintomatologia dolorosa e all’alterazione morfologica del piede.
- III stadio: l’arco longitudinale è mancante e si ha convessità del bordo mediale del piede.
Il piede è deformato in modo irreversibile, la muscolatura dei peronei è permanentemente contratta e il piede mostra un’accentuata sporgenza dello scafoide.
Segni e sintomi di piede piatto
All’inizio la sintomatologia non è particolarmente fastidiosa (talvolta la condizione è addirittura asintomatica), anche se chi è affetto da piedi piatti può affaticarsi più facilmente di altri quando cammina o mantiene la stazione eretta. Progressivamente si inizia ad avvertire la presenza di dolore che dal piede può estendersi fino al polpaccio.
Man mano che il tempo passa, il dolore diventa più intenso e cominciano a essere visibili le alterazioni di tipo morfologico; si avvertiranno quindi sempre maggiori difficoltà al momento di eseguire movimenti di flessione e supinazione del piede. È da sottolineare il fatto che, proprio a causa delle modificazioni morfologiche tipiche del piede piatto, aumentano le probabilità che si presentino nel tempo problemi di tipo artrosico.
Diagnosi di piede piatto
Generalmente, vista la sua iniziale asintomaticità, l’alterazione viene diagnosticata solamente nel momento in cui si verificano problemi di postura o se i movimenti provocano dolore. Una prima valutazione può essere fatta quando il bambino ha circa 3-4 anni. Ovviamente, se vi sono casi familiari, è necessaria una più attenta valutazione.
La diagnosi è basata sia sull’esame obiettivo (con esecuzione di test che mettano in evidenza la mancata correzione del valgismo di tallone e volta plantare nel momento in cui ci si erge sulle punte dei piedi) che su indagini strumentali quali, per esempio un podogramma (una tecnica che serve a rilevare, tramite il podografo, l’immagine bidimensionale dell’impronta plantare su carta carbone o mediante impronta a inchiostro) e/o una radiografia dei piedi sotto carico (le radiografie dei segmenti scheletrici sotto carico servono a verificare il comportamento del segmento scheletrico che è oggetto di esame quando si trova sotto carico, ovvero sotto uno sforzo e non a riposo).
Trattamento del piede piatto
Il trattamento è sostanzialmente di tipo conservativo. Esso si avvale, oltre che dei consigli medici, della prescrizione di specifici plantari correttivi.
Lo scopo del plantare è quello di correggere la pronazione del retropiede e di consentire all’avampiede di ruotare internamente.
Esistono diversi tipi di plantare utilizzati nel trattamento del piede piatto: il plantare a elica, il plantare in metallo di Viladod, il plantare a conchiglia di scuola californiana ecc.
Secondo alcuni autori il plantare più efficace nei casi di piattismo del piede è quello con il quarto di sfera sottoastragalico al quale si può eventualmente abbinare un cuneo a funzione devalgizzante al tallone.
Non tutti gli autori concordano sull’effettiva utilità dei plantari (le perplessità sul plantare sono le stesse espresse nel nostro articolo sul plantare usato da adulti sportivi), mentre altri ritengono che l’utilizzo di un plantare corretto svolga una funzione fondamentale perché, anche se non è in grado di correggere il problema del piede piatto, permette al soggetto di mantenere una postura che non crea squilibri a livello di scheletro e articolazioni soprastanti, cosa oltremodo importante in un soggetto in fase di crescita.
Nei casi più gravi è possibile valutare l’opzione chirurgica. Ma quali piedi devono essere trattati e a quale età?
La stragrande maggioranza degli studi indica che i piedi da trattare (in quanto aumentano il rischio di portare a patologie secondarie) sono quelli con retropiede valgopronato (ciò anche nel caso in cui il piede non sia piatto); fra i candidati all’intervento anche coloro che hanno i piedi piatti con retropiede in asse nel caso in cui siano già presenti una sintomatologia dolorosa o alluce valgo.